22 maggio 2011

Io salto come un popcorn

Questa città se l’è mangiata il caldo, ma comunque trovo il coraggio di uscire per strada alle tre del pomeriggio.

Sotto casa il deserto, niente traffico, e i pochi passanti camminano rasente i muri, sfruttando ogni striscia d’ombra. È così piacevole il silenzio del primo pomeriggio, fare la spesa in un supermercato per una volta non affollato, non dover stare troppo attenti a schivare le moto!

Lo studio procede a rilento: l’organizzazione degli enti locali è complicata, noiosa, e nell’afa avrei solo voglia di sonnecchiare fino alle sei, quando l’aria diventa un po’ più respirabile.

Le sei di sera, in estate, sono l’orario perfetto e a Firenze è già estate, sia chiaro! 



La Gelateria dei Medici già da un po’ è presa d’assalto da allegre famigliole, coppiette, liceali ormai in vacanza e universitari che cercano di soffocare nel fiordilatte i sensi di colpa per i libri abbandonati (mi associo a quest’ultima categoria).

Gli sportivi della domenica, terrorizzati dall’imminente approdo alle spiagge, si moltiplicano, e il giardino della Fortezza si popola nel tardo pomeriggio di corridori sfiancati. A guardarli con un po’ di sufficienza ci siamo noi, quelli saggi, che hanno iniziato qualche giorno prima e che già vedono i primi (scarsi) risultati dei propri sforzi.

Se si escludono i novellini ansimanti, alla Fortezza ormai si è sempre la solita gente: un ragazzo e una ragazza che credo si siano conosciuti proprio al parco, portandoci i rispettivi cani, e che adesso vediamo sempre insieme (non so se siano una coppia, ma mi piace pensarlo), un po’ di signori di mezza età con pantaloncini da corsa imbarazzanti ma forma invidiabile, una ragazza che corre sempre sola con le cuffie alle orecchie e un cappellino viola in testa, una coppia di ragazzi piuttosto carini ma troppo veloci per star loro dietro e poi io e Mariacristina, che un po’ corriamo, un po’chiacchieriamo e insomma ci prendiamo poco sul serio.

Per i prossimi giorni è in previsione una sortita al mare, dalle parti di Grosseto, sempre che si riesca a trovare un mezzo di trasporto: meta consigliata, Cala Violina, che pare sia una bellezza. Ad ogni modo non sono di quelli che rompono i coglioni con “il mare calabro, tutta un’altra cosa!”, anche perché in generale preferisco la montagna.

A rileggere il tutto, è più o meno la solita vita con qualche grado in più: in realtà le novità più rilevanti riguardano un imminente trasloco, ma dedicherò loro un post a parte, quando sarà tutto un po’ più definito. Trovare casa è un lungo calvario cui spetta una degna cronaca.

Dalla Terra di Mezzo è tutto, vi porgo i miei saluti!
Marzia


13 maggio 2011

Lo scrivi o no il tuo romanzo erotico?

<<Il romanzo di Bianconi? Ah, sì! Si chiama “Sexysolitudini”, vero?>>
Sono un cliché indie, in mezzo alla stazione con la gonnellina a pieghe, le stringate e in mano un libro con la faccia di Francesco Bianconi sul retro. Tento inutilmente di nascondere la copertina con la mano, poi decido di incastrarlo in borsa.
Dieci minuti dopo arriva Elena con una fascetta in testa: ok, abbandono ogni tentativo di sembrare meno indie.
Riassumendo, sono stata alla presentazione de “Il regno animale” (No, non “sexy solitudini”, magari il prossimo…) alle Murate, un ex carcere trasformato in parte in una sede per mostre e incontri e in parte in alloggi popolari (molto più fighi del mio attuale alloggio non popolare, mi permetto di aggiungere).
Arriviamo nel cortile interno: forte profumo di gelsomini, silenzio spettrale, nessuno in vista.  
Ci guardiamo in giro con lo sguardo da turista scandinavo che ha perso la guida, finché un’anima buona ci fa cenno di seguirla nel cortile a fianco, dove una trentina di persone con il mio stesso libro in mano aspettano di poter entrare nella saletta dell’incontro.
Mi aspettavo un po’ più di gente, lunghe attese. Non mi lamento.
Troviamo posto in quarta fila. Bianconi entra accompagnato da un giornalista e dal fratello, che è esattamente uguale a lui e gli fa le basi musicali per il reading: peccato che l’audio nella sala sia pessimo e che di ciò che legge si capisca poco o nulla. Sulla parete alle sue spalle vengono proiettati video di Milano e di animali allo zoo.
È un po’ impacciato, risponde alle domande del giornalista senza mai guardare il pubblico e tormentandosi le mani, ha una voce bellissima: Elena lo trova adorabile, io ho gli occhi a cuoricino.
Alla fine ci mettiamo in fila per la dedica sul libro e noto un capannello di gente attorno ad una figura con i capelli scuri, vicino alla porte: è venuta anche Rachele Bastreghi, due o tre ragazzi la guardano adoranti.
Nel frattempo Elena si è fatta autografare il libro di Diritto Pubblico:
<<Ma che libro mi fai firmare? Diritto Pubblico? Cavolo, dovrei farti delle domande…  Ma lo hai già dato?>>
<<Ehm, non ancora>>
<<Dai allora ci scrivo anche “in bocca al lupo”>>
Io non mi accontento della dedica e chiedo una foto: Francesco mi avverte che così ho dato inizio ad un meccanismo diabolico per cui ora tutti vorranno farsi una foto. Mi sento una persona orribile. Lui però ha un sorriso da psicopatico che a guardarlo non riesco a smettere di ridere, perciò direi che ne è valsa la pena!
Finita la presentazione, forse, inconsciamente, per ridimensionare il tasso di indiosità che l'esperienza ci ha donato, andiamo a mangiare al McDonald's.
Scusaci Ciccio!



2 maggio 2011

"Uno alla fine può sempre farsi una passeggiata sul Bosforo"

Ho quasi lasciato passare un mese: perchè ci sono state le vacanze, perchè dovevo studiare (dovrei tuttora), perchè oggi piove, perchè non mi sentivo ispirata.

Fatto sta che stasera sono nel mood giusto, sarà perchè ad aprire la finestra si sente odore d'estate...
No, più prosaico, sarà che non ho un cazzo da fare e in tv c'è solo roba pessima.
Sì, meglio.

Circa due settimane fa mi trovavo ad Istanbul: penso sia importante scriverlo qui, dal momento che è il posto in cui sognavo di andare da circa un secolo.
A gennaio è arrivata la decisione dei miei:
"Noi pensavamo di fare Pasqua ad Istanbul"
"Vengo anch'io"
"Ma non vuoi mai venire con noi, dici che ti annoi!"
"E' Istanbul."
Il 22 aprile attraversavo il ponte sul Bosforo a bordo di un pulmino.
Due coppie di quarantenni lombardi non la finivano più di raccontarsi a vicenda i propri viaggi: Shangai, Londra, Los Angeles, i Tropici. Mi chiedevo se facessero così ogni volta, se non prestassero puntualmente alcuna attenzione al luogo in cui si trovavano per vantarsi di quelli in cui già erano stati. Io non riuscivo a scollare gli occhi dal finestrino (anche perchè quella davanti a me aveva i capelli di un brutto punto di biondo, e non era un bel vedere).
Avevo in testa la città di Pamuk, decadente e un po' intristita, visioni romantiche del Mare di Marmara e dei battelli al tramonto. Mi sono trovata in una specie di grande centro commerciale all'aperto: troppi turisti chiassosi, troppa paccottiglia solo a loro (noi) riservata. Entrare nella Moschea Blu sghignazzando, a capo scoperto, cos'è? Un modo per dire quanto siamo laici ed fighi?
Coglievo sprazzi di realtà nelle moschee più piccole, in cui un uomo passava l'aspirapolvere mentre a terra era rimasto un rosario musulmano, nei richiami alla preghiera, cinque volte al giorno, o nel mercato dei contadini, di fianco al Gran Bazar, dove una signora tentava di spiegarmi l'uso medico delle sanguisughe che teneva in un gran secchio.
A quel punto, però, ero già rassegnata al fatto che tutto ciò che avevo immaginato non fosse null'altro se non un'invenzione letteraria.
Non fraintendetemi: ho trovato Instanbul bellissima, oltre ogni previsione, solo che quella che immaginavo era un altro tipo di bellezza, che non saprei come spiegare in realtà...
Insomma, ero un po' incazzata con Pamuk: come puoi passare la vita a scrivere di una città e nel scriverne renderla così irrealistica?
Poi, però, l'ultima sera solo stata ad Ortake: una meravigliosa piazzetta sul Bosforo, con una piccola moschea alle cui spalle sta il ponte illuminato, mentre nei vicoli circostanti si trovano locali di ogni tipo e chioschetti in cui preparano la roba più assurda (nota speciale per un'enorme patata alla brace, aperta e farcita con qualsiasi cosa, che trovi praticamente nelle mani di chiunque).
Bene, fermandomi ad un negozio di stampe e vecchie cartoline ho ritrovato la mia Instanbul: una foto in bianco e nero mostra una strada quasi deserta, se non per qualche macchina ed un passante. "Beyoglu, 1930".
Si tratta di un quartiere nella parte europea di Instanbul, citato spesso ne "Il museo dell'innocenza" dal mio caro Orhan: è stata una città reale, solo che lo era 80 anni prima che potessi vederla!
In questo momento la foto in questione si trova sul mio armadio: non ho trovato esattamente la stessa su internet per poterla caricare qui, ma sono riuscita a scovare qualcosa di simile.


Credo sia la stessa via ritratta nella mia, presa da una diversa angolazione.
Conclusione: non sono più incazzata con Pamuk e continuerò ancora ad adorarlo, specie da quando ho scoperto che da piccoli, quando ci trovavamo soli,  facevamo gli stessi giochi assurdi (ma forse è una cosa comune a tutti i marmocchi quando giocano da soli, non saprei).
Prima di apporre la mia firma a questo papello, però, ci tengo a riportare che ho portato i miei ad ubriacarsi di raki, tra le proteste di mia madre e la malcelata soddisfazione di mio padre: ubriacatura preceduta da imbarazzante conversazione con il gestore musulmano di un locale in cui, ovviamente, non si poteva consumare alcol e dagli ammiccamenti del vecchietto che "i'll take you where you can find it".
Credo che tornerò ad Instanbul, correrò il rischio di vedere la moderna Beyoglu, magari con un compagno amante dei viaggi, se mai ne troverò uno, nel frattempo vi porgo i miei omaggi!

Marzia